UN CENTINAIO DI RRRRRRRRRRRRRRR

Rosaria, una ragazza raffinata residente a Roma, raffreddata e rinchiusa in casa, non riusciva a riposarsi.
Rivedeva il ritratto del ragioniere Riccardo e ricordava le loro risate nel rione, dove rileggevano romanzi sul Romanico, il Rinascimento e il Risorgimento e risparmiavano per viaggiare in Russia. Rifugiati tra i rododendri e i rosmarini mentre volavano le rondini, ascoltavano la radio e i rumori delle rane e dei rospi sulla riva. Rosaria, col rimmel e il rossetto, si vedeva raggiante come la regina di una rivista. Riccardo, robusto e romantico, recitava rime rivoluzionarie.
Ma questo rapporto senza ricompense materiali era rischioso e Rosaria, dopo un ragionamento responsabile e razionale, aveva rovinato tutto, senza riconciliazione possibile.
Ora aveva un rapporto recente (prima opponeva resistenza, non gli dava retta) con un ricco rauco, reumatico, retrogrado, reazionario e anche razzista, il quale aveva una risatina ripugnante che lei trovava repellente, ruffiana e ridicola (lui voleva ringiovanire rapidamente però non usava bene nemmeno il rasoio).
Rosaria era sicura che lui, rimbambito come era, ruttasse e anche russasse, ma con le sue richezze la riempiva di regali e di rose rosse, e la portava in ristoranti e rosticcerie perché a lei piacevano i risotti, la ricotta e i ravioli.
Rosaria era infelice. La sua mente (come quella di un robot rabbioso) ripeteva: rimorso, rimpianto, rimprovero, risentimento, repressione, rancore, rappresaglia…
Allora si ricordò del revolver e respirò rilassata.

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